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Siamo un gruppo di giovani, della Parrocchia San Pio X, che da circa tre anni ha dato vita al primo Movimento Parrocchiale Giovani Focolari a livello diocesano e provinciale di Foggia.

Potremmo dirvi che abbiamo stretto rapporti con gruppi di diverse città italiane e che abbiamo contatti anche con l'estero... ma non basterebbe..! Volete saperne di più? Bene! Che il viaggio abbia inizio!

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NEWS!! Da oggi la Parola di Vita potrete ascoltarla attraverso un video! Visitate la pagina dedicata e scoprite la novità!

domenica 5 febbraio 2017

Il fuoco e la salvezza

Ciao a tutti! Innanzitutto ci scusiamo per la nostra assenza, dovuta a vari impegni del gruppo che hanno riempito le nostre giornate impedendoci di essere concentrati sul blog. 
Finalmente ci siamo, eccoci! Pronti a raccontarvi nuove esperienze e a donarvi nuove meditazioni ed emozioni!

Iniziamo subito con una meditazione di Luca Monacis, che come sapete è un membro attivo del nostro gruppo, su un tema tanto sentito quanto, purtroppo, dimenticato: LA SALVEZZA.


Buona lettura! :)



Il nome Gesù deriva dall’aramaico Yeshua e significa “YHWH è salvezza” (YHWH è la traslitterazione del tetragramma biblico riportante secondo gli Ebrei il nome di Dio). 
Il tema della Salvezza è uno dei pilastri fondamentali della Cristianità, sicché nei Vangeli e nelle Lettere degli Apostoli ricorre incessantemente l’invito alla conversione, conversazione per ottenere la salvezza.

Ma Salvezza da chi, da cosa? E perché? 

Negli ultimi periodi si è andata affermando un’idea profondamente infantile della religiosità in genere, in particolare di quella cristiana. 
Questa idea pone eccessivamente l’accento su una direzione orizzontale, una semplicistica esperienza sociale, dove più o meno ci si deve voler bene, essere tutti amici, fare qualche “fioretto” sporadicamente, compiere buone azioni verso i poveri, essere parte di un qualche gruppo, organizzare eventi di “evangelizzazione” (le virgolette sono d’obbligo), eccetera.
Si entra cioè nella casa del luogo comune, un insulso coacervo di stereotipi folkloristici seguiti pedissequamente, senza l’assunzione della minima consapevolezza. 

Chi è Gesù Cristo? 

Gesù Cristo è stato tutto fuorché un adoratore di luoghi comuni, anzi è possibile affermare che durante i tre anni di vita pubblica non esitò a dichiarare il Suo aperto disprezzo per tutto ciò che fosse banale

Una religiosità meramente sociale è una religiosità scadente. 
Un Cristianesimo fatto di luoghi comuni è un Cristianesimo mediocre.

La religiosità deve senz’altro comporsi della dimensione umana, ma anche della dimensione escatologica; non può esistere l’una senza l’altra e porre l’attenzione solo sulla prima rischia di trasformare il tutto in un cabaret di pessimo gusto, uno scimmiottamento di personaggi e vicende storiche. 
No. La religiosità deve nutrirsi d’inaccessibilità, d’incenso, di un fine ultimo. 
Deve nutrirsi di presente nell’Eterno e di Eterno nel presente
Il Cristianesimo ha un fine: il Paradiso
Il Paradiso è null’altro che stare alla presenza di Dio

Dio viene a salvarci da una e una cosa sola: l’Inferno
Là, dove arti vengono strappati e fumo e ombre coagulano in una materia pestilente e oscura che si cosparge nello spazio soffocando lo spasmo della vita, la quale annaspa invano alla ricerca di un po’ di sollievo.
 Il fumo carico di zolfo penetra nelle narici, fa lacrimare gli occhi, inquina i polmoni, blocca il respiro, fiacca le forze. 
Il libro dell’Apocalisse descrive l’Inferno come la “seconda morte”, in altre parole la morte dopo la morte, fermandosi su un’immagine da brividi: lo “stagno di fuoco”.
 L’Inferno dunque è una palude: in una palude non ci si può muovere, l’aria è irrespirabile, è buio; ma è una palude particolare perché pervasa da un fuoco inestinguibile, un eterno inenarrabile annichilimento dove l’anima brucia e al contempo affoga, in un’atmosfera raccapricciante. 
Non si può negare il fascino straordinario delle immagini evocate da Dante nella Divina Commedia, dove si può scorgere la grandiosità dell’Inferno e non poteva essere altrimenti; l’Inferno si è originato in opposizione alla grandiosità per eccellenza, Dio. 
Esattamente come diceva il padre della fisica moderna, Isaac Newton, “a ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria”, così la Somma Bruttezza non poteva che derivare, per contrarietà, dalla Somma Bellezza.
 L’Inferno non è un luogo fisico, bensì uno stato; quante volte nella vita di tutti i giorni ci si trova a vivere stati simili, nei quali ci si sente intrappolati, in un’aria pestifera, in un costante stato di tormento interiore, nella convinzione che non passerà mai.


 L’Inferno è disperazione, assenza di speranza

È uno stato che si sperimenta nella vita ed è possibile immaginare come questo prosegua anche nell’aldilà, per coloro che nel corso della loro esistenza avranno scelto l’inferno anziché il paradiso. 

Come si manifesta l’Inferno? 

Basta leggere i vari nomi attribuiti a chi per primo ha scelto l’Inferno, il “principe delle tenebre”, lo “’mperador del doloroso regno”. 
La parola Diavolo (dal greco e poi dal latino) significa “divisore”, ”accusatore”, Satana (dall’ebraico Satàn) significa avversario; costui (in Isaia) ama pronunciare le seguenti parole “Sarò simile all’Altissimo”; San Giovanni ne parla come di un “leone ruggente”. 
Quando sentiamo nel nostro cuore l’accusa, la divisione, una forza che ruggisce e che ci fa dire “Dio non c’è”, “Io sono Dio”; quando sentiamo che tutto ci spinge ad ammettere che questo sarà uno stato immanente, ecco; questo è l’inferno. 
Per quale motivo accade tutto ciò? Nessuno. 

Il Male è puro annientamento, distruzione insensata; il Male odia tutto, anche se stesso.

 Ricordarci che dietro ogni azione, ogni scelta, ci sono inferno e paradiso (già sperimentabili su questa terra), ricordarci che la nostra esistenza non è solo un consumare il tempo, ma ha in sé una funzione cosmica, ci evita di diventare persone frivole recuperando la completezza e il senso delle cose. 

L’antitesi tra bene e male ci rende spettatori estasiati di quel grande spettacolo che è il mondo “delle regioni celesti”: continui cambi di fronte, emozioni contrastanti, scenari spettacolari (si pensi ad esempio al Giudizio Universale di Michelangelo), fallimenti, vittorie, delusioni, speranze. Guardare il mondo con questi occhi colora la vita e dà senso alle nostre scelte, al nostro libero arbitrio.




sabato 19 novembre 2016

La forza nascosta

Ciao a tutti! Anche questo mese vi proponiamo la meditazione sulla Parola di Vita di novembre del nostro caro Luca Monacis. Buona lettura e augurandoci che la cosa vi sia ancora una volta gradita vi auguriamo una buona giornata e... CHE TUTTI SIANO UNO!!

p.s. fateci sapere nei commenti cosa ne pensate ;)



Quanti e quali significati può assumere la parola fede, in tanti modi essa può essere declinata a seconda del culto religioso , dello sfondo sociale, del contesto territoriale. 
Ogni dottrina parte dal presupposto che la pratica spirituale consista nell’osservazione di regole e precetti, il cui risultato finale culmini, sebbene in modi differenti, nell’avvicinamento dell’uomo ad una realtà più alta.
 Ebbene, in questa grande varietà di costumi forse è possibile cogliere un comune denominatore, un aspetto semplice ma al tempo stesso centrale, tanto importante quanto dimenticato.

 La fede è affidamento. 

Non si tratta semplicemente seguire dei dettami, avere fede significa “affidarsi”, riporre la propria fiducia, la propria vita, i propri progetti nelle mani di Dio. 
Tutte le pratiche religiose tendono a questa finalità.
Avere fede significa entrare in uno stato, nuovo e diverso, dove il nostro occhio interno è trasfigurato. 

In molti dei suoi miracoli Gesù dice :“la tua fede ti ha salvato”. 
La tua fede! Come se fosse semplicemente una questione di aver fiducia, quasi che il compimento di azioni straordinarie dipendesse da noi nella misura in cui usciamo fuori da quel perimetro soffocante in cui ci siamo confinati. 

L’affidamento dura un istante, il tempo di un respiro; esso comincia dal coltivare un desiderio nel nostro cuore invitandolo ad andare in alto, lasciando che fiorisca autonomamente. 

Ma prima è necessario che quel desiderio maturi nell’intimo, in silenzio, senza la nostra onnipresente voce razionale che presenta e segnala soluzioni e alternative. Non è questo il momento. 

Gesù lo dice chiaramente nel Vangelo di Marco: “Il regno di Dio è come un uomo che getta il seme nella terra, dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce; come, egli stesso non lo sa. Poiché la terra produce spontaneamente, prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga”. 

Affidamento significa confidare in questo misterioso processo
Fede è aderire con l’intelligenza all’Eterno che si rivela.
 Allora la forza dell’uomo dipenderà dalla sua propensione ad affidarsi al buio, al mistero, al nascondimento. 
Ma tutto ciò non basta. E’ necessario un passo in più. 

Tutte le sue forze razionali sono necessarie e fondamentali solo se indirizzate nella dimensione giusta, a patto cioè che l’uomo faccia uno sforzo intuitivo ulteriore: pensare con la mente spirituale. 

Dice nuovamente Gesù, nel Vangelo di Matteo: “accumulate invece per voi tesori in cielo, dove né tarma né ruggine consumano e dove ladri non scassìnano e non rubano. Perché, dov’è il tuo tesoro, là sarà anche il tuo cuore”.
Se ci facciamo caso possiamo notare che forza è come connaturata da una sorta di “meccanismo rigenerativo”, tale per cui anche di fronte a situazioni dolorose, inavvertitamente sentiamo un’energia che ci sostiene. 

Si narra che Ercole abbia affrontato in una delle sue molte peripezie, il gigante Anteo, figlio di Poseidone e Gea, la dea primordiale, la divinità della terra. 
Ora, Ercole riuscì ad abbattere il suo nemico, ma questi cadendo ripetutamente al suolo sembrava rinvigorito, quale figlio di Gea, e fintanto fosse restato con i piedi ben piantati sul terreno sarebbe stato invincibile. La terra lo rigenerava. Ercole per sconfiggerlo dovette sollevarlo da terra; fu così che stroncò la forza di Anteo. 

La vera forza parte prima di tutto dallo stare sulla “propria terra”, sulle proprie radici
I veri problemi sorgono quando veniamo sollevati, o ci solleviamo da soli, al di fuori di esse. 
Le radici si manifestano in un modo molto semplice: che cosa ti piace? Quel lavoro, quel percorso di studi, quella curiosità, quel libro, quei rapporti in cui ti senti appagato; sono tutti esempi di attività dove ci rigeneriamo. Ma non basta. 
Queste sono delle cose in cui si manifesta la “nostra terra”, ma non è in esse che quest’ultima si trova. 
La vera forza dipende da dove hai messo il tuo cuore; da questo passaggio dipende interamente la tua vita.

Dove hai “investito il tuo capitale”? Là dove è il tuo tesoro, là sarà anche il tuo cuore: investi il tuo cuore in posti sicuri, non nelle cose finite della terra, soggette a deperimento e opportunismo. 

Metti il tuo cuore nelle cose infinite, nelle cose eterne, nelle cose di Dio, in Dio. 
Non sei solo storia, sei anche metastoria. 

Deporre il proprio cuore ai piedi della Croce di Gesù, orientare i sensi a percepire la Sua Presenza, allenare l’olfatto a sentire il Suo profumo, esercitare l’udito ad ascoltare le Sue parole… sono i più profondi atti di radicamento da fare nella propria vita, nella propria terra. 

Gesù è la nostra terra e il nostro cielo, Lui il nostro percorso, Lui il nostro destino

Lo ha detto Lui stesso “Io sono la vite e voi siete i tralci…come il tralcio non può da sé dar frutto se non resta nella vite, così, neppure voi, se non dimorate in me”.




lunedì 10 ottobre 2016

I moti contraddittori del perdono

da Movimento Giovani Focolari // Non ci sono commenti

Ciao a tutti, oggi vi presentiamo una novità! In occasione dell'inizio di questo nuovo anno, un membro del nostro gruppo, Luca Monacis, ci proporrà delle riflessioni spot più approfondite sugli argomenti che tratteremo durante il cammino. Augurandoci che la cosa vi sia gradita vi auguriamo una buona giornata e... CHE TUTTI SIANO UNO!!

p.s. fateci sapere nei commenti cosa ne pensate ;)



Mai come nelle situazioni di perdono siamo messi davanti a noi stessi, alla necessità di “guardare dentro”.
Cos’è il perdono? Qual’ è il tempo del perdono?
Non posso concepire il perdono senza il dolore: difatti ci troviamo di fronte alla scelta di dover perdonare qualcuno che ci infligge un dolore.
Tutti i più grandi maestri spirituali, di tutte le epoche, distinguevano due atteggiamenti che solitamente assumiamo verso il dolore: il primo, sano, è lasciarsi annientare, abbattere, sconfiggere, distruggere; il secondo, deleterio, consiste nel rimuginare, ripensare, chiedersi le cause, darsi le colpe, cronicizzando così il dolore.
È importante partire da un ragionamento: il dolore non è nostro nemico, anzi viene a purificarci da tutte quelle scorie negative prodotte dalle nostre illusioni, dalla nostra staticità; è come l’alcool che la mamma versa sulle ginocchia sbucciate del suo bambino, per sanare e curare quella ferita.
Il dolore è una funzione cosmica dell’anima.
Non è forse vero che spesso si suole dire “la sofferenza ci avvicina a Dio?
Non è forse vero che Qualcuno ha detto “se il chicco di grano caduto in terra non muore non produce frutto?”.
Se stiamo attenti, lui, il dolore (quello sano del primo tipo) viene a richiamarci da situazioni nelle quali stavamo percorrendo sentieri energetici scadenti.
Non posso concepire il perdono senza la rabbia: questa straordinaria forza interiore (quando è spontanea e non artificiale), questo lampo di elettricità, ha il potere di scuotere le fondamenta della nostra vita e riportarla verso direzioni più inclini alla nostra personalità; la rabbia ha il potere, con la sua energia auto-propulsiva, percuotente e corroborante, di farci “entrare dentro” per davvero, di farci visionare l’immensa vastità del nostro mondo interno che, forse, avevamo trascurato.
È come il mare in tempesta che “pulisce sé stesso” portando a riva tutti i detriti inutili.
Pensate alla reazione violenta e rabbiosa di Gesù nel tempio di Gerusalemme contro quel commercio, quella idolatria del danaro, quella produzione sconsiderata di “fango”, fango dello spirito.
Viene a dirci, la rabbia, che abbiamo il diritto di essere rispettati, di non vergognarci di noi stessi.
Una sincera manifestazione di rabbia produce immediatamente la pace.
Una sana rabbia produce umiltà; se non sappiamo arrabbiarci non sapremo mai essere veramente umili.
Non posso concepire il perdono se mi dico quando, come e in che misura perdonare: il perdono non appartiene al tempo ma sgorga dal profondo, dal “senza-tempo”.
Valutazioni postume sulla persona che ci ha fatto male, sul nostro comportamento futuro in sua presenza, sul valore che gli attribuiremo domani, sono ragionamenti che non appartengono al perdono.
Ragionamento e perdono sono inconciliabili.
Perdonare significa riabilitare la fiducia degli altri e la loro reputazione ai nostri occhi.
Il perdono si nutre di silenzio, del silenzio delle nostre opinioni.
Chi perdona ma esprime opinioni (specie se negative) sulla persona in questione, non ha realmente perdonato.
Il perdono, come detto, ci mette dinnanzi alla necessità di guardarci dentro, sorge allora spontanea una domanda: dove vogliono farmi guardare questi moti, queste sensazioni contraddittorie di dolore, rabbia e perdono? e se fosse lo Spirito? non pago della vita che stiamo vivendo?
Il perdono ci permette di osservare la profondità della nostra relazione con Dio; il perdono nasce dalla contemplazione dell’agire di Gesù durante la Sua Passione: il Suo abbandono al dolore ed alla fiducia nel Padre, la Sua totale assenza di giudizio o lamentele verso i carnefici.
Sembra che Gesù non abbia mai detto “perché a me? Perché Dio, proprio a me?”.
Non è una questione filosofica, è questione di spostare l’attenzione sul significato profondo del perdono, cioè di mettere il cervello in uno stato dove produce spontaneamente le sostanze della pace e del benessere.
Perdonare gli altri significa infine perdonare sé stessi; “rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori”, significa “se perdonerai agli altri, ti concederai il diritto di vivere meglio”; uno stato di rancore (che è molto diverso dalla “rabbia-fulmine”) prolungato mette il cervello in un continuo stato di ansia ed il corpo in un perenne andirivieni di “fastidi” psicosomatici.
Perdonare sé stessi significa riabilitarsi alla vita.
In conclusione: Se non ti abbandoni al dolore non progredisci, se non “ascolti” la tua rabbia starai male, se farai entrambe queste cose ma non perdonerai, non potrai entrare nella pienezza della vita.
E allora forse, forse, potremo davvero perdonare “fino a settanta volte sette”, potremo davvero avere “gli stessi sentimenti che erano di Cristo Gesù”.

domenica 9 ottobre 2016

Free your heart: Il perdono che cambia il presente

da Movimento Giovani Focolari // Non ci sono commenti

Ciao a tutti e bentornati sul nostro blog! Quest’anno la formulazione dei post sarà un po’ diversa dagli altri anni. Abbiamo, infatti, deciso che in ognuno di essi saranno presenti le considerazioni di ogni membro del gruppo. Beh… almeno della maggior parte… ;). In questo modo potrete avere uno spettro più ampio di ogni argomento e avrete la possibilità di leggere varie considerazioni. Più unità di così! (
Oggi parleremo di un argomento un po’ complesso. La Parola di Vita di questo mese recita: “Perdona l’offesa al tuo prossimo e allora per la tua preghiera di saranno rimessi i peccati” (Sir 28,2).
È sul perdono, quindi, che ci concentreremo .
Cos’è? Esiste? Se esiste, come si fa a perdonare?
Vediamo cosa ne pensano i membri del gruppo.

“La parola di vita di questo mese per me è tanto bella quanto complessa. L’anno scorso abbiamo parlato del perdono e io dissi che perdonare è come essere prigioniero in una gabbia. Il Rancore e la rabbia avvolgono il nostro cuore come a formare una gabbia. Con il perdono tu rompi le sbarre che ti tengono bloccato e sei libero. E’ questo quello che senti quando perdoni una persona. Ti senti libero, nuovo, cambiato e più forte…. Oggi penso sempre la stessa cosa, ma, più che il perdono, ciò che ti rende libero è la consapevolezza che nel momento in cui decidi di perdonare una persona, è come se mettessi sulla ferita sporca e sanguinante l’acqua ossigenata; la ferita si pulisce, si disinfetta e guarisce. Quindi è cura. È questo che succede con il perdono. Certo, all’inizio brucia e fa male, perché ti chiedi “perché devo perdonare una persona che comunque mi ha fatto male e che continuerà a farmi male?”. È vero quello che dice Maria, ovvero che è di grande aiuto giustificare una persona pensando che “non sa di farci male”, ma quando la persona lo sa e lo fa di proposito? A questa domanda mi sono risposta che devi solo fare un passaggio in più. È una cosa più difficile, ma allo stesso tempo ci rende più forti. Nel momento in cui giustifichi pensando “lui non sa quello che fa”, ti trovi a dire “ok, sono più calma… forse non sa …. forse non l’ha fatto apposta” e quindi è più facile perdonarla, ma quando invece la persona sa di farti male, e tu lo percepisci perché continua, devi solo superare un livello in più, e implica che devi usare una maggiore forza. Questa ti aiuta a superare l’ostacolo, e ti ritorna moltiplicata per mille.. Ti rendi conto che nel momento in cui dici in cuor tuo “la perdono anche se mi fa male e mi farà male”, è come se mettessi l’acqua ossigenata. All’inizio fa male ti brucia perché è sporca, a causa dell’odio e della rabbia che provi, però col passare del tempo non lo senti più. Il perdono cura la ferita dall’interno. Ti senti più forte e cambi perché cresce una pelle nuova..  più forte. Il perdono quindi, per me, è come l’acqua ossigenata sulla ferita: ti guarisce e ti rende più forte.
Il perdono inoltre serve perché ti aiuta a crescere, anche se ci provocano dolore e sofferenza. Immagina il serpente che per cambiare la pelle vecchia deve strofinarsi contro le rocce. Pesto gli provoca dolore, ma poi questa ricresce più forte e lo aiuta a superare le nuove difficoltà. Le prove della vita ci servono affinché possiamo separarci dalla pelle vecchia, troppo sottile e debole per affrontare la vita, la crescita spirituale e corporea. Per questo le esperienze della vita, che ci fanno male e che sono ostacolo, ci aiutano a diventare più grandi e più forti”.

“Cos'è il perdono? Tutti lo desiderano, ma tutti hanno difficolta nel perdonare. A volte sembre così difficile lasciarsi andare, lascoar cadere tutta quella rabbia e delusione. Eppure è possibile. Ma come? Una risposta può essere l'amore, la preghiera, la fiducia”.

“Perdonare, non sempre ci riesco completamente. A volte mi sembra più semplice non pensarci a quella situazione. Mi è successa una cosa a cui non saprei ne chi perdonare e ne con chi arrabbiarmi, quindi a volte sorrido e vado avanti e a volte mi capita, anche per una semplice domanda, di rispondere male. Poi anche una frase negativa che mi è stata detta... mi sento ancora bruciare... e come si dice... forse non sapeva quello che diceva.. però un po mi ha fortificato e penso che alcune persone non cambino”.

“La vera sfida a volte non è perdonare gli altri, ma prima se stessi”.

“Allora io credo che sia possibile perdonare ma solo dopo un percorso interiore che ha permesso al sentimento di maturare passando anche per l'astio e la sofferenza. Inoltre questo percorso non può attivarsi sempre: se sono state toccate certe corde del cuore e si è stati feriti profondamente ritengo che il perdono sia impossibile poiché non si configura come dimenticanza del torto ma come maturazione di questo comprendendone eventuali motivazioni e torti commessi anche da chi li ha subiti”.

“Io penso che il perdono sia un atto di amore ..non è facile ,dipende dalla persona e dal Valore del torto ricevuto ...molti fanno fatica perché non riescono a dimenticare ..ma perdonando prima noi stessi e poi gli altri ci sentiamo rivivere e siamo in pace con noi stessi ..perché non c'è miglior vendetta che rispondere dando amore ..solo così riusciamo a essere più forti e a superare il dolore“.

“Il perdono è di certo l'ostacolo più grande per un cristiano. Il Vangelo ci invita a perdonare sempre, ma come si fa quando la sofferenza è grande? Personalmente io tendo a dimenticare il male subito, ma questo non può essere considerato il vero perdono. Per il vero perdono che non dobbiamo dimenticare ma, al contrario, ricordare il male subito e con un atto di misericordia continuare a perdonare”.




Il perdono, quindi, esiste eccome. C’è chi ci crede di più, chi di meno. Chi pensa che perdonare sia facile e chi dice il contrario. Lasciamo a voi il giudizio.
Ci auguriamo che il post vi sia piaciuto, nel frattempo vi auguriamo una santa serata e…. CHE TUTTI SIANO UNO!





mercoledì 6 aprile 2016

Gmg Regionale Pugliese : Il tempo dei Giovani aspettando Cracovia

da Movimento Giovani Focolari // Non ci sono commenti

Sabato scorso si è tenuta la Festa Regionale dei Giovani.

Si tratta di una festa per chi va a Cracovia (alla GMG 2016), ma anche per chi segue la GMG da casa.  Si tratta infine di una FESTA PER TUTTI I GIOVANI PUGLIESI ”.

Questo riportano i numerosi siti che hanno pubblicizzato l’evento ma, per noi, è stata molto più di una semplice festa.

Iniziamo col dire che il tutto è stato inaugurato con il concerto dei Godplay, un gruppo musicale nato per “per essere uno strumento di evangelizzazione nelle mani di Dio”. Sono riusciti a combinare alcune canzoni molto famose ad altre, altrettanto conosciute, ma di stampo cattolico. Una vera luce, quindi, per conoscere la Parola di Dio attraverso il canto!!

Poi abbiamo avuto l’onore di ascoltare la testimonianza di Nicola Legrottaglie un allenatore di calcio ed ex calciatore italiano che fa parte de “Gli Atleti di Cristo”.

Non lasciamoci sfuggire queste occasioni, perché può succedere che quando si torna a casa si diventa una persona diversa, in grado di trasformare altri giovani". Che questa generazione si possa alzare e combattere con tutto quello che fuori ci sta danneggiando. Allora, amici, io probabilmente non vi conosco, ma so che Dio vi conosce, e so che vuole parlare con voi. Lui vuole cambiare la vostra vita, vuole darvi un amore incondizionato, che voi non avete mai ricevuto e che non potrete mai ricevere dagli uomini. Se continuerete a vivere la vostra fede passivamente avrete poco successo nella vostra vita. Solo iniziando una “relazione” con Dio potrete cambiare la vostra vita. Io stesso sto imparando ad amare, sono a “Scuola d’amore”, quello vero”.

È l’amore, quindi, che deve riempire le nostre vite. L’Amore più grande di tutti… L’AMORE DI DIO!!

Lo stesso Gesù chiede ai suoi discepoli “Mi ami?”… e noi sappiamo cos'è veramente l’amore?

A fine serata abbiamo assistito al fantastico concerto dei GEN ROSSO!!

Vi lasciamo con le parole di don Tonino Bello:

Ragazzi, non siete inutili, siete irripetibili. Ognuno di voi è una parola del vocabolario di Dio che non si ripete più. Voi non avete il compito nella vita di fare scintille, ma di fare luce”.





Visitate la nostra gallery! Troverete tutte le foto della Festa Regionale Giovanile!

mercoledì 16 marzo 2016

Credeteci e vedrete cose grandi

da Movimento Giovani Focolari // Non ci sono commenti

È inutile negarlo, il male dilaga. Siamo circondati. È come un leone in giro in cerca della sua preda.
Nonostante gli omicidi, le morti, ecc., a noi deve però arrivare una parola diversa, se davvero crediamo in Dio.

“È giunto a voi il regno di Dio” dice la Parola di Vita di questo mese.
Non dobbiamo farci “intrappolare” da queste cose e magari pensare che sia tutto un male.
Il trucco di ogni cristiano è quello di credere fermamente che il bene sia più forte del male e che, quest’ultimo, non potrà mai vincere sul primo.
È vero, purtroppo siamo portati a pensare il contrario. Ma non è colpa nostra.
La tv, i giornali, la radio, sembrano andare tutte verso un’unica direzione.
Si sente parlare di assassinii, morti, e chi più ne ha più ne metta.

Ma la vita non è solo questo!!

Purtroppo la cronaca nera attira più pubblico. Ormai fa più ascolti un uomo che ammazza la sua famiglia, di un uomo che, con tutta la sua famiglia, fa il missionario in Perù (e questa è una storia vera!).

Spetta a noi decidere cosa è meglio sentire ogni giorno.

Una frase del Padre Nostro recita così: “Liberaci dal male”.
Dio ci ascolta ed è disposto a liberarci da ogni forma di malignità, ma il primo passo dobbiamo farlo noi.

Mahatma Gandhi diceva: “Sii il cambiamento che vuoi vedere nel mondo”.
Dobbiamo crederci, veramente! Altrimenti il male continuerà a fare la sua parte che, di giorno in giorno, diventa più grande.

E voi? Volete liberarvi dal male?
Certo, ognuno è libero di scegliere. Ma, sapete, il male ormai lo conosciamo a memoria e sappiamo dove ci porta. Il bene, invece, è così vasto che potremmo cominciare ad agire per Lui, anche solo per scoprire le meraviglie che ci riserva.

Il rapporto con Gesù deve essere di tipo amicale. Dobbiamo vederlo come vicino a noi, pronto ad aiutarci, non lì “nell'alto dei cieli” spettatore lontano di tutto quello che ci accade.

In questo dovremmo crescere un po’ tutti, solo così diventeremo persone migliori e vedremo tutto ciò che ci circonda in modo diverso.



giovedì 10 marzo 2016

E il figlio ritornò al Padre

da Movimento Giovani Focolari // Non ci sono commenti

Oggi parliamo di una parabola molto conosciuta: quella del "Figliol Prodigo”.

Quante volte ci siamo comportati come lui e abbiamo pensato di raggiungere gli obiettivi da soli, senza l'aiuto di nessuno?
Come ci saremmo comportati al posto del figlio più grande?
E infine, quante volte il Padre, al nostro ritorno, non ci ha deluso, accogliendoci con gioia e facendo festa?

Quello che ha pensato il figlio più piccolo, è molto comune ai nostri pensieri...

"Ormai sono grande, cosa ci faccio ancora qui, nella casa di mio padre?", oppure, "Sono giovane, ormai sono capace di essere padrone della mia vita" e ancora "Voglio godermi la vita, è arrivato il tempo di essere libero, di fare ciò che voglio".

Chi di voi non ha mai pensato/sentito questa frase?

Proprio per questi motivi, il figlio dice al padre "Padre dammi quello che mi spetta", anche se in cuor suo sapeva che non gli apparteneva, e va via.

Questo è un atteggiamento straordinariamente attuale. Tanti sono i giovani che, arrivati a un'età "matura", decidono della propria vita, della propria libertà.

Ma il vangelo parla chiaro: una vita lontana da Dio, all'inizio potrebbe sembrarci un "godersi la vita", ben presto, però, ci renderemmo conto che stiamo sprecando la nostra vita.

Quando ci allontaniamo da Dio, quando cerchiamo l'amore fuori da Dio, ci troviamo nell'angoscia e nella tristezza. E così è stato per questo ragazzo.

La parte più bella di questa parabola è quella che narra "Allora tornò in sé". Improvvisamente ha avuto questo coraggio, forse per bisogno, forse per necessità, ma ha preso coscienza dei propri errori.

"Che cosa sto facendo? Ho un padre che mi ama ed io son qui, che spreco la mia vita".

In particolare in questo periodo quaresimale, tutti dovremmo fermarci un istante e pensare: "Che cosa sto facendo della mia vita, del mio lavoro, del mio studio?” e dovremmo chiederci "Li sto sperperando, o sto vivendo in comunione con Dio?"

Quello che ha fatto il ragazzo è una cosa molto importante, ma noi spesso lo dimentichiamo o non lo facciamo per orgoglio: si è pentito.

Ma attenzione, il "pentirsi" non è un sinonimo di "sentirsi di colpa". Il senso di colpa ci fa stare male, ci avvilisce, il pentimento, invece, ci fa riscoprire di essere figli.

E il fratello maggiore?

La parabola ci dice che era molto vicino al padre, ma solo fisicamente. Il racconto ci fa capire, infatti, che il suo cuore era ben più lontano. Lui non aveva trascurato nessun comando del padre, ma non si sentiva figlio, si sentiva un semplice salariato. Lo comprendiamo dal fatto che egli dice "Padre, io ti servo" e non "ti amo". Egli non è capace di dire "mio fratello è tornato", è troppo pieno di amarezza per comprendere la gioia del proprio padre.

Il padre lo invita, quindi, alla comunione dicendo: "Figliolo, tu sei sempre con me e ogni cosa mia è tua; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita; era perduto ed è stato ritrovato".


E noi? Siamo consapevoli di essere figli di Dio?