Oggi parliamo di una parabola molto conosciuta: quella del
"Figliol Prodigo”.
Quante volte ci siamo comportati come lui e abbiamo pensato
di raggiungere gli obiettivi da soli, senza l'aiuto di nessuno?
Come ci saremmo comportati al posto del figlio più grande?
E infine, quante volte il Padre, al nostro ritorno, non ci
ha deluso, accogliendoci con gioia e facendo festa?
Quello che ha pensato il figlio più piccolo, è molto comune
ai nostri pensieri...
"Ormai sono grande, cosa ci faccio ancora qui, nella
casa di mio padre?", oppure, "Sono giovane, ormai sono capace di
essere padrone della mia vita" e ancora "Voglio godermi la vita, è
arrivato il tempo di essere libero, di fare ciò che voglio".
Chi di voi non ha mai pensato/sentito questa frase?
Proprio per questi motivi, il figlio dice al padre
"Padre dammi quello che mi spetta", anche se in cuor suo sapeva che
non gli apparteneva, e va via.
Questo è un atteggiamento straordinariamente attuale. Tanti
sono i giovani che, arrivati a un'età "matura", decidono della
propria vita, della propria libertà.
Ma il vangelo parla chiaro: una vita lontana da Dio,
all'inizio potrebbe sembrarci un "godersi la vita", ben presto, però,
ci renderemmo conto che stiamo sprecando la nostra vita.
Quando ci allontaniamo da Dio, quando cerchiamo l'amore
fuori da Dio, ci troviamo nell'angoscia e nella tristezza. E così è stato per
questo ragazzo.
La parte più bella di questa parabola è quella che narra
"Allora tornò in sé". Improvvisamente ha avuto questo coraggio, forse
per bisogno, forse per necessità, ma ha preso coscienza dei propri errori.
"Che cosa sto facendo? Ho un padre che mi ama ed io son
qui, che spreco la mia vita".
In particolare in questo periodo quaresimale, tutti dovremmo
fermarci un istante e pensare: "Che cosa sto facendo della mia vita, del
mio lavoro, del mio studio?” e dovremmo chiederci "Li sto sperperando, o
sto vivendo in comunione con Dio?"
Quello che ha fatto il ragazzo è una cosa molto importante,
ma noi spesso lo dimentichiamo o non lo facciamo per orgoglio: si è pentito.
Ma attenzione, il "pentirsi" non è un sinonimo di
"sentirsi di colpa". Il senso di colpa ci fa stare male, ci
avvilisce, il pentimento, invece, ci fa riscoprire di essere figli.
E il fratello maggiore?
La parabola ci dice che era molto vicino al padre, ma solo
fisicamente. Il racconto ci fa capire, infatti, che il suo cuore era ben più
lontano. Lui non aveva trascurato nessun comando del padre, ma non si sentiva
figlio, si sentiva un semplice salariato. Lo comprendiamo dal fatto che egli
dice "Padre, io ti servo" e non "ti amo". Egli non è capace
di dire "mio fratello è tornato", è troppo pieno di amarezza per
comprendere la gioia del proprio padre.
Il padre lo invita, quindi, alla comunione dicendo:
"Figliolo, tu sei sempre con me e ogni cosa mia è tua; ma bisognava far
festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita;
era perduto ed è stato ritrovato".
E noi? Siamo consapevoli di essere figli di Dio?
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